Jean-Pierre Bokondji, in arte Jupiter, nasce a Kinshasa il 16 dicembre 1963, tre anni dopo l’indipendenza del Congo. È la sua nonna, una curatrice riconosciuta, che lo introduce per prima alla musica e ai ritmi tradizionali, e fin da piccolo Jupiter impara a suonare le percussioni, accompagnandola nei funerali e matrimoni. Passa larga parte della sua infanzia e adolescenza vivendo a Dar-es-Salam in Tanzania e nella Berlino Est, dove suo padre lavora come assistente esecutivo per l’ambasciata del Congo nel 1974. Ma nel 1979, all’età di 17 anni, lascia la Germania per tornare a Kinshasa e si immerge in tutta un’altra dimensione, l’antitesi di ciò che aveva conosciuto fino ad allora.
Crescendo in Germania come figlio di un diplomatico, Jupiter ha diritto ad attraversare ogni giorno il muro e studiare a Berlino Ovest, dove scopre l’Occidente e la sua vivace scena musicale. Entra in questo modo a contatto con il migliore Soul americano: ascolta James Brown, The Jackson 5, The Temptations and Kool and the Gang, ed è qui che fonda, insieme ad altri giovani berlinesi, il suo primo gruppo rock, i “Der Neger”. In seguito, tornato in Congo, scopre una moltitudine di ritmi e stili che crescono all’ombra della rumba, tutti una reminiscenza del funk, del soul e del rock. Con l’intuizione dell’apparente complicità tra le tradizioni congolesi e la musica dell’Occidente, convinto che tutta la musica che aveva ascoltato in Europa affondasse le sue radici nella cultura dei 450 gruppi etnici della sua terra, Jupiter decide di creare un proprio modo di espressione musicale. Il suo progetto è quello di far rivivere quei ritmi e quelle melodie dimenticate del Congo, inserendo anche il groove urbano di Kinshasa.
Comincia a scrivere le sue canzoni, con testi che mettono in questione la storia del suo Paese e la legittimità della gente che lo governa. È un tempo in cui il Congo passa incessantemente dalla tirannia all’anarchia. Appena diciottenne, decide di voler intraprendere una carriera nella musica, con grande disapprovazione del padre il quale si dichiara contrario a tutto ciò che potrebbe distrarlo dai suoi studi. Quando quest’ultimo annuncia la sua intenzione di rimandare il figlio in Europa, Jupiter lascia la casa di famiglia e comincia a vivere per strada, dormendo in case abbandonate e guadagnando qualche spicciolo come percussionista ai funerali. È in questo modo che si guadagna il titolo di ribelle.
È in questo periodo, agli inizi degli anni Ottanta, che Jupiter si unisce alla band “Famous Black”, poi “Bongo Folk” prima di diventare, definitivamente, Okwess.
Nel 2006, un documentario dal nome “Jupiter’s Dance” diretto da Florent de la Tullaye e da Renaud Barret rivela al mondo la straordinaria personalità dell’artista: quest’uomo allampanato in uniforme da generale, una sorta di Don Chisciotte del ghetto che, in uno scenario decadente e abbandonato, combatte ostinatamente contro ogni previsione per mantenere in vita la propria band, facendo uso di grande tenacia ed intraprendenza.
Nel 2013, la pubblicazione del suo primo album “Hotel Univers” offre a Jupiter un certo riconoscimento internazionale, così come l’opportunità di girare il mondo.
Qualche anno dopo, l’attrice francese e regista Sandrine Bonnaire arriva a Kinshasa e conosce Jupiter. Viene invitata a leggere un estratto dal libro “Bandoki: (les sorciers)” di Zamenga Batukezanga, un filosofo e autore africano dallo stile estremamente vivido poco conosciuto al di fuori del Congo, il quale era un viso familiare nel quartiere di Lemba, dove visse e morì nel 2000. Accompagnando la canzone “Le Temps Passé”, scritta dal batterista Montana durante un suo momento di romanticismo e nostalgia, la voce dell’attrice chiede implorante un aiuto da parte degli antenati per poter educare i bambini all’interno della dura realtà del Congo. In qualche modo, come portavoce di questo messaggio, Sandrine acquisisce il ruolo della Princesse Rita, aiutante dei bambini di Lemba. “Quando percorri così tanta strada, è inevitabile che tu faccia molti passi falsi. Ciò che è importante è non mollare mai.”
“Non mollare mai”, in questa terra in cui l’aspettativa di vita si aggira intorno ai 50 anni. A causa delle immense risorse naturali del Congo, mezzo secolo di indipendenza viene dedicato all’arricchimento di una ristretta cerchia di persone a fronte dell’impoverimento di tutti gli altri, a cui fa seguito l’era coloniale in cui l’unica regola vigente è il sequestro delle ricchezze naturali. Così come nei racconti di Zamenga Batukezanga, i testi scritti da Jupiter si concentrano su questo doloroso passato, e su come poterlo superare. Sono discorsi in cui la verità avanza prudentemente, in punta di piedi, anche a causa dei pericoli che attendono coloro che osano parlare troppo. È per questo motivo che Jupiter fa largo uso di storie e parabole per denunciare l’ingiustizia come in “Bengai Yo”, o per prendere in giro un “re” che utilizza i soldi del popolo per le sue stramberie in “Benanga”.
Riuniti attorno a Jupiter ci sono i fedeli Okwess: Montana (degli Staff Benda Bilili”) alla batteria, Yendé al basso, il chitarrista Eric e Blaise, il cantante.
Ogni canzone contenuta in “Kin Sonic”, il loro album più recente, presenta un determinato pezzo di vita, dei particolari pensieri e riflessioni, una propria singolarità. Ma anche la sua universalità, grazie al violino di Warren Ellis e alle tastiere di Damon Albarn. Piuttosto che su parole di protesta, il disco è caratterizzato da pensieri positivi che insistono sull’unità, sul rispetto reciproco, sulla giustizia, sull’umiltà e sul pensare al futuro.
Prodotto da Marc-Antoine Moreau e da François Gouverneur, “Kin Sonic” trova la propria voce nell’esplorazione di una tradizione finora rimasta nascosta, e si posiziona in un paesaggio contemporaneo in cui muri e confini esplodono di fronte al desiderio degli uomini di condividere momenti di bellezza e di pura follia. Pur utilizzando strumenti e sonorità rock, l’obiettivo di Jupiter & Okwess è quello di riportare alla luce gli specifici patrimoni musicali locali, con testi in diverse lingue e con un marcato ritmo tradizionale.